Carpet story

Quattro anni fa, poco dopo aver traslocato, durante una capatina all’Ikea, con mio padre, mi resi conto che avevo assoluto bisogno di un tappeto da mettere di fronte al divano (in realtà è un letto, ma gli è stato lavato il cervello, è stato ricoperto di stoffe di vari colori e consistenze ed è stato trasformato in divano sopra e in ripostiglio per le scarpe/nascondiglio dei gatti sotto).
Tornai a casa con un bel tappeto verdino, di lana, a tessitura piatta, che copriva tutto il metro di spazio tra il divano e le librerie di fronte.
Gli volevo bene, Hobbes ci si stendeva a prendere il sole, ogni tanto ci si faceva le unghie; io mi ricordavo anche di passare l’aspirapolvere.
Ma il tappeto era chiaro e tendeva a sporcarsi.
Dopo il primo inverno l’ho sbattuto per bene, l’ho avvolto su se stesso e l’ho nascosto dietro un provvidenziale angolo tra due librerie.
All’arrivo del secondo inverno ho tirato fuori il tappeto, l’ho sbattuto e l’ho rimesso davanti al divano, con la faccia più pulita in vista.
Alla fine del secondo inverno era sporchissimo, era troppo grande per essere messo in lavatrice, e, pur avendo applicato tutti i trucchi conosciuti a base di bicarbonato, era inguardabile.
Invece di arrotolarlo l’ho piegato, l’ho cacciato in un sacchettone e, dopo una settimana di permanenza nell’ingresso e una settimana nel bagagliaio della macchina (con relativa necessità di mettere la spesa sul sedile posteriore, visto che avevo il bagagliaio piccolo), l’ho portato dai miei, pensando che da pensionati avessero il tempo e la voglia di passare un paio d’ore alla lavanderia a gettoni al posto mio.
Purtroppo non avevo tenuto conto della maestria di madre nell’arte del procrastinare: ogni tanto chiedevo notizie del tappeto, mi veniva risposto che lo avrebbero portato a lavare la settimana successiva, o che al primo giorno di sole lo avrebbero steso in giardino e lo avrebbero lavato a mano… Risultato: due inverni senza tappeto.
Due settimane fa mi sono recata dai miei, decisa: “Mi faccio ridare il dannato tappeto, lo porto alla lavanderia e aspetto”.
Mi madre, guarda caso, mi stava praticamente aspettando col tappeto, appena tirato fuori dal garage, e mangiato dai topi. Mia madre aveva già le forbici in mano (probabilmente se non fossi arrivata in quel momento sarei stata messa di fronte al fatto compiuto), pronta a farlo in pezzi più piccoli, recuperare quello che non era stato masticato, buttare in lavatrice e usare per altri scopi.
Tappeto, adieu.
Ormai però avevo deciso che mi serviva un nuovo tappeto, che, fatto tesoro delle precedenti esperienze, doveva avere le seguenti caratteristiche: essere verde, essere della misura giusta, essere LAVABILE in lavatrice, essere accuratamente piegabile, essere economico.
Praticamente impossibile.
Fino all’epifania di venerdì scorso, legata alla presenza, in casa, di due sacchettoni di feltro e alla necessità di smaltire le vecchie coperture del divano.
Una volta deciso cosa fare, si è posto il problema di come fare. All’inizio lo volevo fare intrecciato, di molti colori, purtroppo, però, trattandosi di ritagli (grandi, ma pur sempre ritagli) ho dovuto scartare l’idea; quindi ho pensato che sarebbe stato carino farlo tutto grigio scuro, a grandi quadrati uniti tra loro (giusto per ovviare alle dimensioni dei ritagli) e di “dipingere”, col feltro e col filo, alcuni di questi quadrati con dei fiori, o dei cerchi, coloratissimi, ma, memore delle dita doloranti dopo aver cercato di ricamare una piccola borsa dello stesso tessuto, ho scartato anche questa idea.
Alla fine ho deciso di essere semplice e di usare la forma più semplice, da tracciare e da ritagliare: il triangolo.
Ho recuperato tutto il feltro verde, armata di penna e stecca ho tracciato le righe necessarie, ho tagliato tutto riempiendomi di pelo verdino i vestiti e la casa e acquisendo un grazioso colorino bluette sulle mani e sulle unghie (colpa della stecca e della penna). Quindi ho unito i triangoli tra loro, a macchina, con lo zig zag. Triangolo con triangolo, quadrato con quadrato, rettangolo con rettangolo, quadrato con quadrato, striscia con striscia. Usando tutto il feltro e ottenendo la superficie necessaria.
Quindi ho buttato tutto in lavatrice, a 30 gradi, senza centrifuga, per togliere i segni della penna e perché, se proprio il tappeto doveva restringersi, lo facesse prima di essere attaccato a una base che era stata già lavata più di una volta a 60 gradi.
Il giorno dopo (domenica), ho ripassato i punti in cui con lo zig zag ero andata un po’ fuori strada, ho rinforzato il tutto, l’ho steso per terra a faccia in giù e ci ho puntato con gli spilli la base: un vecchio pezzo di copriletto indiano, che avevo comprato 4 anni fa al mercato e che avevo tagliato per la prima, storica, copertura del divano. Quindi, mentre i gatti mostravano di apprezzare il manufatto, ancorché incompleto, ho preparato le strisce da usare come bordo, le ho unite, le ho stirate piegate a metà e le ho imbastite per far prima, ho recuperato un pezzo di stoffa, sempre dal copriletto, per fare una shopper (non potevo davvero nascondere gli elefanti sotto il tappeto, sarebbero stati scomodi), ho unito il tutto, sempre con gli spilli, e ho cucito. Già che c’ero ho cucito anche la shopper.
Risultato: tappeto finito, shopper finita, mani e unghie verdi.
Steso il tappeto sul pavimento (dopo aver passato l’aspirapolvere per togliere tutti i pelucchi verdi e i pezzi di filo), fotografato col telefono per vantarsi con gli amici, preparata la cena, lavato i piatti, andata a letto col sedere piatto per essere stata seduta davanti alla macchina per cucire per due giorni, le unghie ancora un po’ verdeggianti, e con l’intento di fare le foto con la luce del mattino, prima di andare al lavoro.
Ore 02:32 della notte tra domenica e lunedì: rumori sospetti, tappeto opportunamente battezzato con vomito di gatto (tigrato). Si prospetta nuova lavatrice, foto a data da destinarsi e non più con la luce del mattino.
E finalmente, rullo di tamburi, eccolo qui, nel suo splendore, sotto ispezione, dopo essere stato lavato per due volte in due giorni, in attesa di un giro all’Ikea per l’acquisto di antiscivolo (e di due cornici bianche, per un’altra cosa che ho intenzione di fare, a breve).

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E perché no, ecco a voi anche la borsina.

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3 pensieri riguardo “Carpet story

  1. E’ bello, complimenti! Io non ho ancora avuto il coraggio di comprare un tappeto, mi servirebbe anche parecchio, ma i due gatti in casa mi frenano! Dubito che lo sopporterei a vederlo impelarsi e finirei con l’odiarlo :/

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